L’EDUCAZIONE È COSA DI CUORE E LE CHIAVI DEL CUORE LE POSSIEDE SOLO DIO (DON BOSCO)

Scritto il 30 gennaio, 2017

“ POSSIAMO CHIEDERCI SE LA NOSTRA COMUNITÀ EDUCANTE SIA «COMUNITÀ DI DISCEPOLI MISSIONARI CHE PRENDONO L’INIZIATIVA, CHE SI COINVOLGONO, CHE ACCOMPAGNANO, CHE FRUTTIFICANO E FESTEGGIANO» (EG N. 24) FACENDO PARTE COSÌ DI UNA CHIESA CHE È DAVVERO «IN USCITA», CHE SI FA CARICO DELLE NUOVE SFIDE DELL’EDUCAZIONE, CHE TIENE CONTO DELLA VITA CONCRETA DELLE PERSONE E SI FA PROMOTRICE DI NUOVA UMANITÀ, FACENDOSI CARICO INNANZITUTTO DI OGNI FORMA DI POVERTÀ. “

In questo mese di gennaio non possiamo non pensare a don Bosco, grande santo e grande educatore. La Chiesa Italiana ha voluto sottolineare l’urgenza educativa che a vari livelli tutti sentiamo come prioritaria: le famiglie, la scuola, la società, la Chiesa stessa. Al’inizio di questo decennio dedicato al tema dell’educazione il Santo Padre Benedetto XVI, parlando ai Salesiani riuniti a Roma in occasione del loro capitolo Generale XXVII, parlò indicando chiaramente che il compito educativo è colpito a morte quando siamo in presenza dalla perdita generale della fiducia e soprattutto della speranza. In questo modo si svuota dal di dentro la forza motrice della fatica bella dell’educazione:

L’aspetto più grave dell’emergenza educativa è il senso di scoraggiamento che prende molti educatori, in particolare genitori e insegnanti, di fronte alle difficoltà che presenta oggi il loro compito. Così scrivevo infatti nella citata lettera: “Anima dell’educazione può essere solo una speranza affidabile. Oggi la nostra speranza è insidiata da molte parti, e rischiamo di ridiventare anche noi, come gli antichi pagani, uomini ‘senza speranza e senza Dio in questo mondo’, come scriveva l’apostolo Paolo ai cristiani di Efeso (2,12). Proprio da qui nasce la difficoltà forse più profonda per una vera opera educativa: alla radice della crisi dell’educazione c’è infatti una crisi di fiducia nella vita”, che, in fondo, non è altro che sfiducia in quel Dio che ci ha chiamati alla vita.

1 Certamente, dentro questa situazione e con questo stato d’animo, ci siamo dentro un po’ tutti. Cosa fare allora, davanti a questa emergenza che ciascuno sente come particolarmente faticosa e allo stesso tempo importante e prioritaria? Don Bosco ha chiaro un duplice aspetto che nella citazione riportata esprime tutto il suo genio educativo. In primo luogo, da vero educatore, egli sa che per educare nel vero senso del termine è necessario un incontro di due libertà – quella dell’educatore e quella del ragazzo – che non può mai darsi per scontata. Si tratta di un incontro di due persone che si mettono “in gioco” totalmente e liberamente, nella disponibilità reciproca di un cammino che comprometta entrambi.  Ecco perché non si tratta di un impegno solo dalla parte del ragazzo né tantomeno dalla parte del solo adulto.  In particolare, i due sono coinvolti nella parte più profonda delle loro persone: il cuore. Nella cultura ebraica il cuore è la sede del pensiero, della volontà e degli affetti. Anche per noi, il cuore racchiude tutto quanto di più prezioso costituisce la nostra identità e la nostra storia. Quando si dice quindi che nel compito educativo c’è un rapporto di due libertà e che si incontrano a livello del cuore, stiamo dicendo che si tratta di rapporto totale e profondo di entrambi. Non esiste educazione che non sia reale coinvolgimento (spesso faticoso e a volte doloroso) per un cammino fatto insieme tra l’adulto e il ragazzo, rispettando un giusto dislivello tra i due. Oggi mi pare che alcuni problemi educativi nascano quando manca una reale disponibilità da parte di entrambi a lasciarsi coinvolgere nell’avventura educativa: gli adulti, perché poco disponibili a imparare dai più piccoli e poco attenti a far capire che un intervento educativo è per il loro bene e risulti tale; i ragazzi, perché poco aperti ad ascoltare e obbedire a chi ha fatto un tratto di strada in più rispetto a loro, intravvedendone il senso e un bene per la loro esistenza.
In secondo luogo, da grande uomo di Dio qual era, don Bosco sa altrettanto bene che le trame più intime della coscienza di ciascuno, le profondità più belle del cuore umano (insieme anche alle sue ombre) sono proprietà di Dio. Non c’è educazione vera che possa “mettere da parte” Colui che ci ha creati e che ci vuole felici nel tempo e nell’eternità. I giovani devono essere accompagnati a sperimentare che la Grazia muove il cuore al bene, e i mezzi di Grazia sono potenti strumenti per affrontare la vita anche nei percorsi più impervi. Per questo, don Bosco nel suo trattatello sul Sistema Preventivo del 1877 scrive così:

La frequente confessione, la frequente comunione, la messa quotidiana sono le colonne che devono reggere un edifizio educativo, da cui si vuole tener lontano la minaccia e la sferza. Non mai obbligare i giovanetti alla frequenza de’ santi Sacramenti, ma soltanto incoraggiarli e porgere loro comodità di approfittarne. Con alcuni Salesiani, Figlie di Maria Ausiliatrice e Giovani abbiamo sperimentato quanto sia vera l’intuizione di don Bosco, presentando una mostra all’edizione del Meeting di Rimini del 2010 ( http://www.meetingmostre.com/default.asp?id=344&id_n=27177 ).

Ci siamo preparati insieme, nei mesi precedenti al mese di agosto, attraverso uno studio attento e approfondito delle fonti salesiane, in particolare delle Memorie dell’Oratorio di don Bosco. Davvero il sistema educativo di don Bosco è il regalo più grande per vincere l’emergenza educativa. «La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù» (Evangelii Gaudium n. 1). Papa Francesco ci dice come non ci possa essere annuncio del Vangelo senza gioia. Lo stesso possiamo dire affermando che non può mancare la gioia nel cuore di chi educa. La gioia è un dono da ricercare ed è una condizione del cuore da richiedere nella preghiera. «È la gioia che si vive tra le piccole cose della vita quotidiana, come risposta all’invito affettuoso di Dio nostro Padre: “Figlio, per quanto ti è possibile, tràttati bene … Non privarti di un giorno felice” (Sir 14,11.14)» (EG n. 4). È la gioia che ci chiede di accantonare «uno stile di Quaresima senza Pasqua». Una gioia che diventa palpabile proprio assumendo la sfida dell’evangelizzazione come primaria per la propria vita e per la vita della propria comunità, vincendo  il rischio dell’«accidia egoista» (cfr. EG n. 81-83) e scegliendo di essere sempre più «missionari», «in una costante uscita verso le periferie del proprio territorio o verso i nuovi ambiti socio-culturali» (EG n. 30). I nostri ragazzi hanno bisogno di incontrare il volto di questa gioia cristiana nel nostro volto di educatori e nella relazione fraterna e gioiosa che si può realizzare in unaComunità educante.

 

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