2a Via Crucis diocesana – Scola: «Abbiamo portato la Croce per le strade come segno di amore e non di potere»

Scritto il 15 marzo, 2017

Il «gesto potente e tradizionale» della Via Crucis con l’Arcivescovo per la Zona pastorale I ha attraversato le vie della città e sostato in alcuni luoghi emblematici della metropoli:il Refettorio Ambrosiano, il Rifugio Caritas, il Binario 21

Un cammino che si snoda attraverso luoghi-simbolo della città, sotto una luna che pare guardare e vegliare sulla processione di qualche migliaio di milanesi che, attorno alla Croce di San Carlo e alla venerata reliquia del Santo Chiodo, si affollano presso il Refettorio Ambrosiano in piazza Greco, alla periferia di Milano. La grande, ma semplice croce lignea è all’interno del Refettorio, spazio nel quale la moderna bellezza e la creatività artistica si sposano con un farsi prossimo capace di dare ristoro e un pasto caldo, ogni giorno dell’anno, a 90 persone in difficoltà.

Prima dell’inizio della Via Crucis per la Zona pastorale I (Milano), a spiegare agli ospiti della cena cosa significhino la reliquia e il rito che inizia da lì a poco, è don Giuliano Savina, responsabile della Comunità pastorale San Giovanni Paolo II, di cui fa parte la parrocchia di San Martino in Greco. Arriva l’Arcivescovo che, dopo la breve adorazione personale della Croce nel Refettorio, cammina accanto al vicario episcopale di Zona monsignor Carlo Faccendini, con i preti – due i vescovi presenti, il Vicario generale monsignor Mario Delpini e monsignor Paolo Martinelli -, le religiose, i malati, tanta gente.

La Milano che non c’è più e quella di oggi

Si prega, si canta, si ascoltano il Vangelo e le testimonianze tratte da brani di papa Francesco, si recita la preghiera composta dal Cardinale per la Professio Fidei del 2014, si sosta nelle quattro Stazioni (le stesse per ogni Via Crucis zonale, così come identico è il titolo, «Si è addossato i nostri dolori»). Si attraversa la periferia che non ti aspetti, con tanti lumini rossi sui davanzali delle finestre, il segno di croce di qualche giovane incontrato per caso, con l’ottocentesco ponte sulla Martesana dove la metropoli rumorosa e caotica sembra lontanissima, se non fosse per lo sky-line che già si profila non troppo lontano.

Si giunge in via Sammartini, vicino al Centro accoglienza profughi, dove alcune mamme di colore e il loro bimbi, salutano l’Arcivescovo e si uniscono alla processione, che avanza tra il sottopassaggio delle ferrovie e via Gluck, dove le basse case di una Milano che non c’è più sono diventati loft alla moda e sale di incisione, con le facciate ricoperte dai murales. Infine, l’arrivo al Binario 21, davanti al Memoriale della Shoah, luogo di ricordo doloroso, ma anche di crescita civile e di insegnamento per il domani.

Penetrare nel cuore, tra dolore e colpa

Come San Carlo portò la Croce per le vie di Milano nel 1576, «in segno di penitenza perché la peste fosse sconfitta», tornano, nella riflessione dell’Arcivescovo, le tante pesti di oggi e il senso della Via Crucis, «gesto potente e tradizionale»: «Anche noi abbiamo camminato dietro la Croce. «Abbiamo percorso vie e strade in cui i dolori, più che mai in un mondo in cambiamento, hanno preso tristemente forma, come abbiamo visto nei piccoli che ci hanno atteso con le loro madri o nei segni del nostro tentativo di risposta».

Ma oltre i drammi sociali non possiamo dimenticare le colpe personali, suggerisce Scola, con «la lontananza terribile che il peccato attua tra Gesù e noi»: «Ecco perché dobbiamo farci prossimo di tutti i nostri fratelli che sono nella prova e prenderci cura gli uni degli altri, soprattutto di coloro che, come dice papa Francesco, sono vittime della cultura dello scarto.

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