20 marzo – La via Crucis a Sesto: Per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi – L’omelia dell’Arcivescovo

Scritto il 22 marzo, 2018

Monsignor Delpini completa il ciclo quaresimale guidando il rito per i fedeli della Zona pastorale V (Monza). Le offerte raccolte aiuteranno a sostenere l’attività svolta dai Padri Comboniani e dall’Ovci-La Nostra Famiglia nel Sud Sudan prostrato da 4 anni di guerra civile

  1. La direzione sbagliata.

Sì, abbiamo fatto un lungo cammino; sì, abbiamo compiuto molti progressi; sì, siamo andati molto lontani nella direzione di garantirci la sicurezza nella nostra solitudine, abbiamo corazzato le porte, cancellato i nomi dai campanelli dei condomini, resi irriconoscibili i numeri dei nostri telefoni. Abbiamo creato le condizioni favorevoli per rivendicare il nostro diritto all’individualismo, per fare e pensare quello che ciascuno vuole, pronti a difendere con suscettibilità intrattabile chi si permettesse di esprimere una valutazione: “Guai a chi mi dice: questo è giusto, questo è sbagliato. Se io penso o faccio così, chi sei tu per permetterti di dirmi qualche cosa?”. Abbiamo molti mezzi per rendere interessante il nostro isolamento, possiamo collegarci con il mondo intero e curiosare nella vita di tutti, senza uscire di casa, senza stringere una mano, senza coinvolgerci in nessuna responsabilità.

Abbiamo messo in atto molte cautele per evitare legami stabili, per sottrarci a responsabilità irrevocabili, costruendo legami affettivi precari, rivendicando la possibilità di infrangere le promesse e poter tornare a una vita solitaria anche dopo aver promesso amore eterno.

Sì, abbiamo fatto un lungo cammino nella direzione una condizione di solitudine, una mentalità individualistica, un isolamento disimpegnato, una pratica degli affetti ritrattabili.

Siamo andati molto lontani in questa direzione, ma ora sappiamo che è una direzione sbagliata.

 

  1. L’invocazione.

Ora ci domandiamo: chi ci salverà dalla solitudine? Come potremo uscire da un isolamento che per un certo tempo è sembrato propizio all’euforia di una libertà intesa come arbitrario capriccio e che ora ci pesa come una desolazione smarrita?

Ci sarà anche chi pensa che alla solitudine si può porre rimedio con una aggregazione costruita sugli interessi comuni, con una compattezza recuperata inventando un nemico che incombe per invadere la nostra terra, come spiega uno di loro Caifa, che era sommo sacerdote quell’anno, come un consenso guadagnato con promesse di benessere facile. Ci sarà chi pensa che alla solitudine si può porre rimedio inventando compagnie consolatorie: se hai bisogno di carezze forse si inventerà una macchina, un robot pronto a dispensare i gesti di cui hai nostalgia, se hai bisogno di sentirti importante per qualcuno, forse basterà un cucciolo che fa festa quando ti vede rientrare.

Ma noi riconosciamo la natura palliativa di questi rimedi e continuiamo a domandare: chi ci libererà dalla solitudine con una presenza amica, con una convocazione per una comunità che sia segno di una profonda e affidabile comunione?

 

  1. Gesù doveva morire per la nazione.

A questa invocazione risponde lo Spirito che rende profeta Caifa il sommo sacerdote: profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione; e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire i figli di Dio che erano dispersi (Gv 11,51-52).

Gesù dà la sua vita per liberarci dalla dispersione e dalla solitudine. Come può la morte di Gesù, abbandonato da tutti, diventare principio di comunione che raduna in unità tutti noi, non solo la nazione, ma tutti i figli di Dio?

Gesù, morendo in quel modo, come ha attratto lo sguardo del centurione, attira lo sguardo di tutti: guarderanno a colui che hanno trafitto. Gesù ci raduna perché il suo modo di morire attira lo sguardo di tutti: ecco come rinasce la comunione, quando i fratelli e le sorelle, invece di continuare a guardarsi addosso, invece di continuare a guardarsi gli uni gli altri, volgono tutti lo sguardo nella stessa direzione. Nella contemplazione di Gesù che dà la vita come agnello innocente immolato per tutti viene seminata nell’umanità la promessa di una via di salvezza, di una opera di Dio che convoca tutta l’umanità: innalzato da terra attira tutti a sé. Così si manifesta l’opera di Dio, si squarcia il velo del tempio e si riconosce che cosa Dio vuole: riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi.

Gesù, morendo in quel modo, dona lo Spirito, che rende possibile ai figli degli uomini vivere da figli di Dio, riconoscersi fratelli e convincersi che la vita si compie non difendendosi dagli altri, ma praticando il comandamento di Gesù, fino a fare della vita un dono, come ha fatto Gesù.

Così ci salva dalla solitudine la morte di Gesù: con il dono della fede, con il dono dell’amore, edificando la Chiesa dalle genti.

Mario Delpini
Arcivescovo di Milano

Link foto http://www.nordmilano24.it

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