Caratteristica ambrosiana per tutta la settimana santa è l’uso del colore liturgico rosso: più che sull’aspetto penitenziale, che ha predominato durante la quaresima, l’accento si sposta quindi sul mistero del Corpo dato e del Sangue sparso, nonché sulla centralità della croce e della passione redentrice.
La messa “in Cœna Domini” secondo la liturgia ambrosiana si caratterizza in effetti come primo atto commemorativo della passione del Signore, contesto storico nel quale trova pertinente collocazione anche il ricordo dell’istituzione dell’Eucaristia.
Infatti come brano evangelico viene proclamata la prima sezione della passione secondo Matteo, dall’ultima cena al rinnegamento di Pietro, quando il gallo canta e sta ormai spuntando il nuovo giorno: la celebrazione vespertina ambrosiana vuole così ricalcare la successione cronologica degli avvenimenti del primo giovedì santo.
Dopo la proclamazione della Passione e l’omelia dell’arcivescovo, viene cantata un’antifona molto particolare: si tratta di un testo antichissimo, tradotto direttamente da un originale bizantino del secolo VI e che solo la liturgia ambrosiana possiede in Occidente. In esso si ricorda la mistica cena a cui Cristo invita il fedele e il bacio traditore di Giuda.
Suggestiva è la cornice coreografica in cui si svolge questo canto: lo eseguono infatti i “pueri cantores”, schierati attorno all’altare, simbolo di Cristo, come per volerlo difendere con la loro infantile innocenza dalle trame del tradimento.
Dopo la comunione, l’arcivescovo reca processionalmente l’Eucaristia a un altare laterale del duomo, detto “altare della riserva”: qui i fedeli si alterneranno in silenziosa adorazione fino all’inizio della veglia pasquale.
Anticamente questo rito era celebrato “pro sepultura dominica rapraesentanda”, come dicono le vecchie rubriche, quasi per riprodurre la sepoltura del Signore: di qui si generò, soprattutto nell’ambito della religiosità popolare, la devozione della visita ai “sepolcri”.
Un piccolo particolare sopravvive di questa lettura allegorica della riposizione dell’Eucaristia: durante la processione l’arcivescovo copre la pisside avvolgendola con i lembi del velo umerale. Pare che l’allusione sia al gesto compiuto da Giuseppe d’Arimatea che, secondo i vangeli, avvolse il corpo di Gesù nella sindone, prima di deporlo nel sepolcro.
VENERDì SANTO
Se la celebrazione vespertina del giovedì santo commemora il primo atto della passione del Signore, quella vespertina del venerdì ne è la naturale continuazione nonché il compimento, e trova il suo vertice nell’annuncio della morte di Cristo in croce, con la lettura della passione secondo Matteo dal punto in cui era stata interrotta la sera precedente.
In Duomo, secondo un’antica tradizione, debitamente rinnovata e adattata, è lo stesso arcivescovo che proclama solennemente la Passione del Signore: egli, rivestito dei paramenti come per la messa, con in capo la mitra e assistito da sei diaconi, legge dalla cattedra il racconto della passione e morte di Cristo.
Il Venerdì Santo inoltre, nella tradizione ambrosiana, è giorno “aliturgico”: non si celebra la messa e, a differenza del rito romano, neppure viene distribuita la comunione eucaristica. In effetti l’atto liturgico che commemora la morte del Signore è proprio la solenne proclamazione della Passione da parte dell’arcivescovo stesso.
Il secondo momento della funzione del venerdì santo è l’adorazione della croce. L’immagine del crocifisso viene portata solennemente da quattro diaconi lungo la navata centrale del duomo, verso l’altare maggiore: per tre volte la croce viene innalzata, mentre si canta l’antifona “Ecce lignum Crucis in quo salus mundi pependit” (= ecco il legno della croce, al quale fu appeso il salvatore del mondo) e per tre volte tutti si inginocchiano davanti a essa in adorazione.
Nuovamente la croce, dopo essere stata deposta sui gradini dell’altare, viene adorata con tre genuflessioni e con un bacio di venerazione all’immagine del crocifisso. Infine la croce viene innalzata da due diaconi in una solenne ostensione, così che tutti, clero e fedeli, possano raccogliersi in un istante di contemplativa adorazione davanti al supremo gesto d’amore compiuto da Cristo per la redenzione del mondo.
SABATO SANTO
La veglia pasquale è la celebrazione più solenne di tutto l’anno liturgico cristiano: dopo i giorni della passione e della morte di Cristo, dopo il sabato santo, giorno di silenzio e di lutto, la Chiesa si appresta a celebrare la risurrezione del Signore.
Il rito che inaugura la veglia pasquale è la benedizione del nuovo fuoco: infatti, dal momento in cui era stata proclamata la morte del Signore, tutti i lumi del duomo erano stati spenti in segno di lutto. Ora, il sacerdote benedice il nuovo fuoco, dal quale attinge la luce per accendere il cero pasquale. Durante il tempo pasquale, in ogni chiesa, accanto all’altare, arde il cero pasquale, che, soprattutto nella tradizione popolare, ma anche in quella liturgica, viene considerato simbolo di Cristo risorto.
Dal pulpito un diacono, alla luce del cero pasquale, canta il preconio, un antico testo liturgico nel quale la pasqua di Cristo è poeticamente riletta a partire da tutta la storia della salvezza e della rivelazione veterotestamentaria.
Terminata la proclamazione del preconio, il cero pasquale viene collocato di fianco all’altare e incensato in segno di venerazione. Si conclude così la prima parte della veglia, e inizia la lunga catechesi biblica, composta di nove letture, sei dall’antico testamento e tre dal nuovo.
Dopo l’ultima lettura veterotestamentaria, il sacerdote canta per tre volte e in tono sempre più alto, dai tre lati dell’altare, l’annuncio della risurrezione: “Cristus Dominus resurrexit!”, a cui i fedeli rispondono acclamando “Deo gratias!”.
Non quindi il canto del “Gloria”, come nella veglia pasquale di rito romano, ma il triplice annuncio proclamato dall’altare e che dall’altare si diffonde in tutte le direzioni, sta a indicare che la veglia pasquale ambrosiana è giunta al suo momento centrale.
Il triplice “Cristus Dominus resurrexit” della tradizione milanese trova un interessante parallelo nell’analoga proclamazione con cui anche nella liturgia bizantina si annuncia la risurrezione di Cristo: è un uso antichissimo che risale alla liturgia di Gerusalemme del secolo V-VI e che attualmente il solo rito ambrosiano conserva fra le liturgie occidentali.
Dopo l’omelia, inizia la terza parte della veglia, quella sacramentale, prima con l’amministrazione del battesimo e, in caso di catecumeni adulti, anche della cresima, e poi con la celebrazione eucaristica.
Dopo aver ricevuto il battesimo, i neofiti, secondo la più antica tradizione, vengono rivestiti di una veste bianca, simbolo della nuova vita di grazia che proviene dalla rigenerazione battesimale. I riti dell’iniziazione cristiana si concludono con il canto delle litanie.
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